È a Settimo Milanese la «fabbrica dei Bit»

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21 DECEMBER 2017
BT - Sole 24 ore

Una struttura a prova di missile alle porte di Milano che gestisce cento petabyte di dati: dal rischio sismico all’energia, garanzie per la business continuity.

Quindicimila metri cubi di cemento per 36mila tonnellate di peso che contengono dati pari al doppio dei libri scritti dall’uomo nel corso della storia. La “nuvola” informatica ha anche un volto fisico. A Settimo Milanese, ai confini con i campi del Parco agricolo Sud Milano, c’è un edificio neanche troppo vistoso che affonda le radici nella prima ondata della net economy. La iNet ospitava qui i server su cui girava l’internet italiana. Ora la costruzione, insieme a iNet, è finita in pancia alla Bt che ne ha fatto una delle cinquanta infrastrutture di server distribuite nel mondo.

Una “fabbrica di bit” che contiene dati per un centinaio di petabyte, ciascuno pari a un milione di miliardi di byte, pari all’incirca a 13 anni di programmazione di una tv Hd. I 25 metri di altezza dell’edificio si raddoppiano nel sottosuolo con 250 pali che affondano nel pieno della falda acquifera. «Quello che dobbiamo garantire è il 100% di operatività e la prima criticità da considerare è il rischio sismico: l’area attorno a Milano ha un livello estremamente basso da questo punto di vista. In più l’intero edificio ha una difesa ulteriore oltre al rispetto degli standard di costruzione: è adagiato all’interno della falda e quindi ha un elevato grado di elasticità in caso di eventuali scosse», racconta Luca Bruschi, direttore Assurance Europe, Global Services di Bt.

Nei tre piani, divisi su due blocchi distinti e autonomi, con 6mila metri quadri di data room, riempiti solo di rack, armadioni che contengono in media 40 server ciascuno. Ogni spazio dedicato alle singole società è chiuso tra pareti insonorizzanti che assorbono il frastuono delle ventole di raffreddamento. Oltre alla sicurezza, il vero nodo fisico di queste fattorie di server è il calore: all’interno dei server raggiunge i 50 gradi, ma bisogna scendere nelle stanze ai 2223 gradi richiesti dagli standard di mercato. Ecco perché le grandi strutture del cloud computing sono costruite in climi freddi o vicine a fonti di energia,come quella a fianco delle cascate del Niagara. La struttura di Settimo è un nano rispetto agli enormi data center dei big hi-tech, che arrivano a superare il milione di metri quadrati, con proporzionale fame di energia.

Qui si sfrutta la falda acquifera su cui galleggia la struttura: «Di fatto l’intero edificio è un circuito chiuso che scambia calore tra l’acqua della falda, che andiamo a pescare fino a quaranta metri di profondità, e le temperature esterne, attraverso un sistema che innerva ogni singolo piano», continua Bruschi. L’acqua viene raccolta in una piscina sotterranea da 900 metri cubi, utilizzata come serbatoio per lo scambio di calore: l’aria fredda viene convogliata nell’intercapedine sotto i pavimenti,buttata nelle singole stanze aziendali e raccolta nel soffitto per essere rilasciata all’esterno. L’acqua rimane alla temperatura ideale per irrigare i campi circostanti. La continuità energetica è garantita da un sistema assolutamente ridondante basato su due linee separate che coprono i 10 mW di consumo: la fornitura dalla rete esterna è garantita dal backup dei generatori in grado di fornire fino a 15 mW, garantendo un’autonomia energetica di 48 ore. Quegli armadioni di rack, finora utilizzati quasi solo per la mera gestione dei dati aziendali, sono pronti a trasformarsi in nuvola quando diventano la base per la virtualizzazione di macchine e servizi per le aziende a distanza.

Source: Sole 24 Ore